Indagine Confcommercio, in collaborazione con Format Research, sul rapporto tra l’andamento delle imprese e l’evoluzione della domanda e dell’offerta di credito. Sangalli: “Più attenzione del sistema bancario verso le imprese”. Il presidente Abi Patuelli: “Impossibile capire cosa succederà sui tassi”.
Il tema della stretta creditizia per le imprese del commercio, del turismo e dei servizi è al centro del focus che Confcommercio ha realizzato avvalendosi del supporto di Format Research. Quasi il 40% delle imprese del terziario, nel corso del 2023, ha ottenuto meno credito di quanto richiesto e 8 imprese su 10 hanno registrato un aumento del costo del credito a causa dell’inasprimento dei tassi di interesse; un peggioramento che ha costretto oltre il 40% delle imprese a rinunciare, in tutto o in parte, agli investimenti programmati, in particolare per la crescita, la sicurezza e l’innovazione, e a nuove assunzioni nel corso del 2024.
Secondo l’indagine inoltre, la stretta del credito comporterà per il 45% delle imprese un peggioramento della situazione della propria liquidità, con il rischio di un impatto negativo sulla domanda dei consumatori a causa di una minore capacità delle imprese di fare sviluppo commerciale presso i propri clienti e con una conseguente diminuzione dei ricavi e una minore capacità di fronteggiare l’aumento dei costi praticati dai propri fornitori.
Commentando i risultati dell’indagine, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato che “la nostra vera preoccupazione oggi è la stretta creditizia, un fenomeno che si sta acutizzando anche per effetto del rialzo dei tassi di interesse e che sta penalizzando le imprese del terziario, in particolare quelle di minori dimensioni: dal 2011 ad oggi i prestiti del sistema bancario verso le imprese con meno di 20 dipendenti si sono ridotti di oltre il 35%”. “Serve, quindi – ha osservato Sangalli – una maggiore attenzione da parte del sistema bancario verso queste imprese ma un importante banco di prova sarà anche la riforma del Fondo di garanzia per le Pmi che dovrà porre maggiore attenzione alle imprese meritevoli ma sottoposte a restrizione creditizia che, spesso, sono proprio quelle di minori dimensioni.”
“I tassi? Impossibile prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi. Non è il caso di fare scommesse. Ma i tassi a zero non sono la consuetudine storica, ma una eccezione assoluta“. Così, in un’intervista a La Stampa, il presidente dell’Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli. “Il problema è l’abitudine – ha osservato Patuelli – quando si abitua l’opinione pubblica ad operare per 10 anni con tassi zero e sottozero, non solo i depositi bancari in Bce ma anche i Bot, è chiaro che poi quando si muovono al rialzo c’è stupore”. “Non sono le banche a chiudere i rubinetti: la Banca d’Italia ci dice che a calare è direttamente la domanda di credito”, ha aggiunto il presidente parlando dei prestiti. “Rispetto al passato – sostiene Patuelli – credo che quelle imprese che avevano messo da parte liquidità in maniera cospicua invece di prendere denaro a prestito utilizzino la propria. E la stessa cosa han fatto molte famiglie. La fase oggi è decisamente cambiata come confermano anche i dati sulla liquidità che sul mercato è in deciso calo”.
Nel corso del 2023 il 40,1% delle imprese ha chiesto un fido/finanziamento, o ha chiesto di rinegoziare un fido/finanziamento esistente. Di queste, quasi la metà (47,8%) si è vista accogliere la domanda con ammontare pari o superiore a quello richiesto, il 36,6% ha visto accogliere la propria domanda di credito, ma con un ammontare inferiore alla richiesta ed il 3,7% ha visto rifiutare la propria domanda di credito. Il 60,0% delle imprese ha fatto richiesta di credito per esigenze di liquidità e cassa, il 25,4% per effettuare investimenti e il 14,6% per «ristrutturazione del debito».
Quasi otto imprese ogni dieci tra quelle che hanno finanziamenti in essere rilevano un peggioramento dei tassi, ovvero il credito costa molto di più rispetto al passato. La situazione appare meno critica con riferimento alle garanzie chieste alle imprese a copertura dei finanziamenti concessi (la situazione è rimasta invariata per il 60% delle imprese) e la severità dei criteri di selezione (situazione invariata per il 64,2%).
Il 5,4% delle imprese del terziario, negli ultimi 18 mesi, ha utilizzato lo strumento del Confidi per ottenere un finanziamento. Delle imprese che hanno utilizzato il confidi il 59,8% ha ottenuto il finanziamento in tempi più rapidi, il 30,7% a costi inferiori ed il 9,5% di importo maggiore. Di fatto, grazie al Confidi, si ottiene il credito in tempi più rapidi ed a costi inferiori.
La riduzione del credito e/o l’aumento del costo del credito hanno determinato per il 31,2% delle imprese l’annullamento totale degli investimenti previsti. L’11,4% sarà costretto invece a rinunciare “in parte” agli investimenti che era intenzionata ad effettuare. Ad essere maggiormente penalizzate sono le imprese del commercio food e no food, le imprese dei servizi alla persona, le imprese con meno di 5 addetti, le imprese del centro e del sud/isole.
La riduzione del credito e/o l’aumento del costo del credito hanno determinato per il 31,2% delle imprese l’annullamento totale degli investimenti previsti. L’11,4% sarà costretto invece a rinunciare «in parte» agli investimenti che era intenzionata ad effettuare. Ad essere maggiormente penalizzate sono le imprese del commercio food e no food, le imprese dei servizi alla persona, le imprese con meno di 5 addetti, le imprese del centro e del sud/isole.
La riduzione del credito causerà – secondo le attese del 45% circa delle imprese- un serio peggioramento della situazione della propria liquidità, diminuendone le prospettive di sviluppo commerciale e di crescita. Il 12,6% delle imprese teme inoltre che la riduzione del credito possa impattare negativamente sulla domanda dei consumatori nel 2024, ovvero sulla capacità delle imprese di fare sviluppo commerciale presso i propri clienti, con una conseguente diminuzione dei ricavi (difficoltà temuta molto o abbastanza dal 23,9% delle imprese), nonché una minore capacità delle imprese stesse di fare fronte all’aumento generalizzato dei prezzi dei propri fornitori (17,8%).
a cura di Ugo Da Milano